Desidero condividere qui con voi il mio contributo alla redazione del Dizionario del Tempo del Virus (DTV), una iniziativa dell’Associazione La città che sale, che si compone di una raccolta alfabetica di lemmi – ritenuti pertinenti rispetto all’inedita e drammatica situazione in cui siamo – relativi a oggetti, concetti, nozioni e pratiche entrate nell’uso quotidiano, nonché a opere d’arte che si prestano a essere rilette alla luce del tempo attuale.
Ho accettato con gioia di fare parte di questa opera corale che coinvolge donne e uomini provenienti da diversi saperi, arti e discipline; e ho scelto di redigere la parola ‘clausura‘.
L’opera è consultabile on line all’indirizzo: www.lacittachesale.eu/dizionario-del-tempo-del-virus
CLAUSURA
La prima immagine che si materializza nella mia mente alla parola clausura è la figura della monaca di Monza nel suggestivo ritratto di Giuseppe Molteni, datato 1847, basato sul personaggio tratteggiato da Alessandro Manzoni ne I Promessi Sposi.
Al centro della tela appare una giovane donna dai tratti mediterranei, i suoi occhi sembrano chiusi e fissano il pavimento, dalla parte opposta rispetto al grande crocifisso che occupa tutta la parte destra del dipinto. Freddo e oscurità dominano l’ambiente monastico e la luce che illumina il viso della monaca non arriva dal crocifisso, come ci aspetteremmo, ma dal lato opposto, forse da una finestra che non vediamo, una possibile via d’uscita che ci è ancora sconosciuta.
In queste settimane di clausura forzata ci sentiamo sol*, in balia di una forza che non conosciamo e che ci tiene in sospeso. Chi ha fede, si rivolge alla propria religione, chi non ce l’ha, si volta dall’altra parte, volge lo sguardo a terra e si sforza di trovare dentro di sé la forza di andare avanti e di immaginare un futuro possibile.
La memoria va indietro nel passato, quando per me clausura significava esame di passaggio: un periodo di tempo limitato (di cui si conosceva in anticipo la durata) durante il quale dovevamo dimostrare di essere in grado di tradurre un testo, eseguire una trascrizione musicale, risolvere un quesito.
Questo accadeva un tempo, prima della pandemia.
Ora la nostra clausura è molto più aleatoria: non sappiamo quanto durerà e non spetta a noi trovare la soluzione del problema.
Dobbiamo solo restare a casa e condurre una vita appartata e solitaria.
Possiamo − e dobbiamo − però sforzarci di coltivare il nostro giardino interiore, una sorta di hortus conclusus contemporaneo; è tempo di seminare pensieri nuovi, coltivare idee straordinarie, innaffiarle con costanza, averne cura e liberarle ogni giorno dalla gramigna della paura e della sfiducia verso ciò che sarà.
Così dentro, così fuori.
Alla nostra clausura di cittadin*, corrisponde uno stato generalizzato di isolamento a livello nazionale, europeo e mondiale: una clausura planetaria chiamata lockdown.
Ci affacciamo alle finestre delle nostre abitazioni e agli schermi dei nostri cellulari per cercare di capire ciò che sta accadendo fuori.
L’esterno è complesso da decifrare e il rumore di fondo ha spesso il sopravvento.
Al momento non abbiamo certezze ma un unico desiderio, che questa clausura non sia vana, che sia davvero condivisa e porti al risultato sperato: fermare il contagio.
Ogni goccia conta e insieme possiamo davvero fare la differenza.
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La città che sale è un’associazione culturale che intende promuovere il dibattito pubblico su temi economici, sociali, culturali e politici. La sua attività è volta a offrire riflessioni e proposte sui temi amministrativi delle città e, in particolare, di Verona. L’associazione si riconosce nei valori di Europa, internazionalità, innovazione, sviluppo sostenibile e diritti dell’uomo.
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