Nel marzo 2020 la mobilità dei cittadini italiani viene limitata per far fronte a un’inedita e gravissima emergenza sanitaria causata dalla diffusione di un virus fino ad allora quasi del tutto sconosciuto. Da quel momento le nostre vite diventano esistenze limitate agli spazi delle nostre case e alle poche centinaia di metri che le circondano.
Il 10 aprile invitiamo i nostri lettori a condividere racconti brevissimi delle giornate passate a osservare il mondo attraverso le finestre che immaginiamo essere diventate all’improvviso lente, specchio, soglia, spiraglio, cornice o barriera trasparente a difenderci da un esterno sempre più lontano. Quello che leggerete è il risultato della selezione editoriale operata sui circa mille testi ricevuti dalla nostra casa editrice nei giorni seguenti. Le storie sono state scelte per il loro interesse documentale o narrativo, perché riteniamo che ogni testimonianza abbia un inestimabile valore in sé. Ringraziamo dunque tutti coloro che ci hanno permesso di poter osservare questo nostro tempo sospeso attraverso una quantità inaspettata – per noi, al principio – di finestre.
Il 30 aprile 2020 questo eBook dal titolo I giorni alla finestra. Racconti da un tempo sospeso viene pubblicato in distribuzione gratuita ed è scaricabile al seguente indirizzo:
www.ilsaggiatore.com/concorso-2020
Ecco Il mio racconto, che si trova a pagina 54, nella sezione il mio silenzio è rosso. E altri racconti di un mondo ferito.
Ci voleva una pandemia perché io mi affacciassi di nuovo alla finestra della cucina e guardassi cosa stava accadendo nel vaso sul davanzale. Mi piace l’aria fresca, soprattutto quando carbonizzo i sughi pronti con cui condisco gli spaghetti, ma la mia dirimpettaia cerca sempre di attaccare discorso e io non sono dell’umore giusto. Non lo sono mai. L’ultima volta che quei vetri erano stati spalancati era prima di Natale. Mia madre era venuta a cena e, mossa da pietà per quella foresta di rami secchi, aveva pulito tutto e polverizzato qualcosa nel vaso. Non rammento cosa mi avesse detto; ricordo che era soddisfatta e aveva sul viso quel suo sorriso da bambina monella. Ma con un velo di malinconia. Quella sera avevamo mangiato come sempre; io non avevo aperto bocca, esausta dopo le mie otto ore di ufficio, lei aveva cinguettato parole leggere, così leggere che erano volate via con lei, quando se ne era andata. Solo stamattina, dopo un mese di quarantena, ho visto quei fiorellini gialli che hanno fatto capolino oltre la cornice dei vetri. «Tageti, anche detti Garofani indiani, mi mettono allegria!» ecco cosa mi aveva detto quella sera! Lo ricordo solo ora. Gli stessi fiori gialli che avevo trovato così insignificanti, ma che Marco aveva insistito decorassero la chiesa il giorno del suo funerale, ai primi di gennaio. Apro la finestra e prendo la corolla di un piccolo fiore tra le dita. La dirimpettaia mi saluta. Alzo lo sguardo e le rivolgo un sorriso.